mercoledì 24 aprile 2013

Il mio 25 aprile




Come credo la maggior parte degli esseri umani, ho avuto due nonni. Uno paterno, uno materno.
E' la prima volta, mi rendo conto, che scrivo qualcosa di loro, e sento il pensiero fremere impaziente dietro le dita sulla tastiera. Spero di non diventare logorroico!
Il nonno materno era un uomo di poche parole con noi nipoti. E, dicendo questo, mi rendo conto di non averlo affatto isolato rispetto a tutti gli altri uomini della sua generazione, propensi alla pedagogia del manruerso più che a quella del dialogo.
Quando andavamo a trovare i nonni materni, la nonna era affar nostro, oltre che di mia madre. Il nonno, invece, spettava integralmente a mio padre.
Si sedevano al grande tavolo di legno, mio nonno partiva a narrare la sua storia socio politica degli ultimi 50 anni, e mio padre annuiva, integrando qui e lì con sparute considerazioni marginali. Mio nonno paterno aveva la voce roca e potente, non credo bestemmiasse, ma quando si inalberava (con mia nonna nel 90% dei casi) allora mandava in mona tutti, gridava "Can de l'ostia" e dava a tutti dei "Fasisti".
Ecco la questione. L'essere fasisti era sostanzialmente una condizione in tutto e per tutto analoga all'essere farisei e sepolcri imbiancati. Tutti stati dell'essere questi, necessari per poter intraprendere il viaggio in mona, cui il nonno materno ti invitava caldamente.
Dalla voce del nonno materno, quando fuori pioveva e quindi mi toccava stare ad ascoltare un po' delle sue ciacole (ma quanto mi mancano oggi!), capivo che 'sti fasisti ne avevano combinate parecchie, prima tra tutte l'aver costretto mio nonno a fare la guerra (la guerra mio nonno la fece a Venezia, chissà come e perché), impedendogli di tornare a casa dalla sua morosa, che poi era la futura nonna.
Poi i fasisti avevano preso a fucilate un po' tutti, forse a caso e forse no, in campagna dalle bande dei miei nonni materni, e mio nonno, assieme ad altri, si era preso la briga di fare qualcosa per mettergli i bastoni tra le ruote. Eh già, perché, e qui arriva la svolta, mio nonno era stato partigiano bianco. Cosa che, nella mia mente di infante, associavo al Mulino Bianco, o, a seconda, al parmigiano bianco. E insomma, mi ero fatto l'idea abbastanza certa che questi partigiani avessero a che vedere col cibo.
Quando poi si trattava di capire cosa, di preciso, il nonno partigiano bianco avesse combinato, ecco, qui cascava l'asino.
Perché non si capiva. Esattamente come non si riusciva a capire chi fossero questi fasisti, se avessero dei nomi o dei cognomi. I fasisti erano più o meno dei fantasmi, senza identità, senza nome. Proprio come le imprese partigiane di mio nonno. L'unica certezza era che, un giorno, un fasista aveva tirato una sventagliata di mitra davanti all'osteria, e mio nonno era corso attraverso la piazza ed era saltato dietro una muretta. Ecco l'impresa partigiana bianca di mio nonno.

Lascio il nonno materno dietro la sua muretta, e faccio un volo attraverso la pianura padana, giù oltre al Po, nel ferrarese, dove vivevano i miei nonni paterni.
Mio nonno paterno era alto, elegante, parlava con l'accento morbido di quelle terre, strisciando un po' le sillabe per la decisa carenza di denti che caratterizzava la sua bocca.
Ero fiero di sentirmi dire che assomigliavo a lui, perché aveva stile, era appassionato di lirica e aveva grandi mani nodose. Quando si usciva (sarà perché uscivamo assieme solo a Pasqua e Natale, ma questa è l'idea che mi sono fatto) era sempre molto elegante, aveva un completo gessato che gli dava un tocco distinto, da industriale anni Venti. E ci provava con eleganza decadente con le commesse dei supermercati, le cameriere dei bar, le postine e le fioraie.
Ecco, quest'ultimo aspetto di mio nonno non sono riuscito a imitarlo!
Il nonno paterno non parlava mai dei fascisti e dei partigiani. Non parlava di politica con mio padre, perché erano di idee diverse, questo l'ho capito solo col tempo. Dopo una certa età ho iniziato a cogliere certi ragionamenti, certe discussioni.
Mio nonno era stato camicia nera, e non ne era troppo pentito. Era anche andato a fare la Repubblica Sociale, ma verso la fine del pasticcio si è preso una licenza ed è tornato a casa, restandoci. Una volta sola sono venuti a cercarlo dei ragazzetti di quindici anni, che avevano puntato il fucile addosso al mio bisnonno. Poi un paio di conigli e una bottiglia di rosso avevano sistemato la cosa, e mio nonno, assieme a suo fratello, erano usciti da dietro andando a nascondersi in una macchia.
Nonno e bisnonno hanno fatto pazientemente passare la guerra e il Duce, poi, una domenica mattina, hanno visto passare uno dei ragazzetti in bici per la piazza del paese, e gli hanno fatto capire che il contadino, quando tira schiaffi, ha la mano pesante.
Il nonno paterno non era andato a fare la guerra a Venezia, come l'altro. L'avevano spedito giù in Calabria. Da lì, questa la sua impresa codificata nell'epica familiare, era tornato su, dopo l'8 settembre, con un commilitone e una decina di bottiglie di cognac fregate ai tedeschi. Avevano camminato, cavalcato muli, guadato torrenti, mangiato porcospini e addirittura guidato una locomotiva, il tutto sempre ubriachi, ma alla fine mio nonno era tornato a casa.
Mio nonno paterno non mi ha mai raccontato molto dei fascisti e dei partigiani dalle sue parti. Credo di capire il perché.
Oggi tutti e due i miei nonni sono morti.
Come tutti i morti, tengono per sé i propri segreti.
In questo 25 aprile mi inchino a loro, e li saluto con affetto profondo. Uno è stato partigiano bianco, l'altro repubblichino.
Nessuno dei due, a quel poco che ne so, ha fatto imprese eroiche. Certo, hanno vissuto, tirato su una famiglia, e alla fine, a ben vedere, mi han permesso di essere qui ora. Ma non son queste le cose che ti valgono un monumento.
Ognuno di loro ha avuto delle idee in cui ha creduto. Nessuno dei due, a quanto ho capito, è stato un fanatico, infatti sia il partigiano sia il repubblichino han capito quando mettere da parte le idee per tornare dalla moglie, a nascondersi in un pagliaio per salvare la ghirba.
Ma anche nella nebulosa memoria dell'infanzia, resta un senso di timore, di autocensura, di cose-da-non-dire, che evidentemente gravava su entrambi i miei progenitori.
Saluto i miei nonni, e spero che il 25 aprile possa presto essere davvero una festa di tutti, una festa della parola e del ricordo condiviso.

Ciao Rino, ciao Antenore! Licenza Creative Commons

venerdì 5 aprile 2013

"Nero 13" alla Palazzo Roberti

Ricordo che sabato 6 aprile, alle ore 18.00 sarò presso la libreria Palazzo Roberti di Bassano, a presentare "Nero 13 - Il Giallo a Nord Est" assieme ad altri autori della raccolta di racconti gialli, noir, pulp edita dalla Libra edizioni.

Ci vediamo!