venerdì 2 novembre 2012

4 novembre


Luigi Cadorna

Una volta si stava pure a casa da scuola, per il 4 novembre.
Oggi non più, e bisogna andare in giro per i corridoi degli istituti, per trovare, su una bacheca defilata, il manifesto bianco, a caratteri neri, con il tricolore in piccolo, in un angolo, che ricorda, a chi ha la pazienza di leggere, cosa si commemora il 4 novembre.
Una volta era la vittoria, oggi si parla di forze armate e unità nazionale.
In ogni caso, ci si confronta con concetti un po' scivolosi. Perchè se si parla di forze armate in fin dei conti, lo dice il nome stesso, si parla di armi, se si parla di unità nazionale il rischio è di cadere nel nazionalismo, se si parla di vittoria il rischio è di cadere nell'elogio della guerra.
Già, la guerra. La Grande Guerra, con le G maiuscole. Non mi definirei certo un esperto del primo conflitto mondiale, ma per scrivere "Sul Grappa dopo la vittoria" ho dovuto leggere e studiare. Certamente la Grande Guerra affascina.
E', forse prima di tutto, per la dimensione quasi mitica che avvolge le imprese di quei soldati, sospesi e quasi incerti tra un mondo di duelli all'arma bianca, di assalti, di colpi di mano in cui è la forza e il coraggio del singolo a far la differenza, e una modernità alienante, nella quale la morte si fa seriale e gratuita, nella quale conta solo la quantità di cannoni e di granate a disposizione, e non il valore dell'esercito.
Non posso fare a meno di immaginare la profondità e la totalità dello shock culturale che investì i soldati, tolti da un orizzonte di vita agricolo e preindustriale e sbattuti in un mondo di macchine di morte, di gas asfissianti, di mitragliatrici, di cibi in scatola...
Per non parlare dello shock ambientale... ricordo sempre la lettera di un giovane soldato ungherese, impegnato nella guerra sugli altipiani, lettami da un amico ben più appassionato di me sulle cose della Grande Guerra, nella quale il ragazzo, sempre vissuto nella sconfinata pianura, racconta stupito ai genitori di aver scoperto delle cose strane, che si chiamano "pietre"!

Al di là della conoscenza e dello studio su quel complesso fatto storico che chiamiamo Prima Guerra mondiale, credo che, specie in occasione del 4 novembre, resti da chiarire quale sia il ruolo, oggi, da assegnare alla memoria.
Per certi momenti della nostra storia recente, e penso ad esempio al fenomeno della Resistenza e della guerra di liberazione, credo che sia ancora difficile pensare di poter avere uno sguardo lucido. Ci sono ferite ancora sanguinanti, memorie e interpretazioni discordi, e pertanto la memoria diventa spesso un fatto doloroso, anchrchè doveroso.
Ma forse per la Grande Guerra è giunto il momento di far largo, con serenità, a una reinterpretazione che scrosti la memoria collettiva dai residui (ancora presenti!) della retorica dell'eroismo, del sacrificio, della bella morte, e riconsegni al nostro paese una prospettiva di Grande Guerra come inutile strage, come incomprensibile assurdo sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane su un altare posticcio e ingrato.
Un primo passo concreto per far ciò potrebbe essere, a mio avviso, quello suggerito dal giornalista e scrittore Ferdinando Camon, di eliminare il nome di alcuni generali, in primis Cadorna, e ci aggiungerei anche Giardino, dalle intitolazioni di piazze, viali e strade nelle nostre città, sostituendoli con nomi che sottolineino altri aspetti e altri protagonisti del conflitto, quali "Unità d'Italia", o "III Armata", o "Ragazzi del '99".
La città di Udine, giusto per fare un esempio, già il 3 agosto del 2011 ha fatto una scelta del genere.
In questo modo in primo luogo si costringerebbe la collettività a un ripensamento, a un "fare memoria" nuovo, favorendo discussioni, confronti e dialettiche utili alla verità storica.
In secondo luogo nelle nostre città verrebbe meno l'elogio, scomodo sebbene implicito, a persone che, senza troppi perchè, mandarono a morire in maniera spesso ottusa e talvolta apertamente crudele decine di migliaia di soldati, in un conflitto cercato e voluto da una minoranza del paese, e che forse poteva essere tranquillamente evitato percorrendo la strada della diplomazia.
Può essere solo una provocazione, e di certo cambiare il nome a una piazza non serve a niente, se nelle scuole non si parla della grande guerra in modo più approfondito, più vicino al territorio, meno legato alla semplice esigenza di liquidare il capitolo in fretta, perchè l'esame di maturità si avvicina e bisogna svolgere il programma almeno fino alla Guerra Fredda...
Ma, piuttosto del silenzio, anche una provocazione ha la sua utilità.


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